Maria Emanuela PIGNATELLI

Maria Emanuela PIGNATELLI

(n. 1775, + 1818),

Principessa di Moliterno e di Marsiconovo (erede),

Dal Capo di Leuca a Napoli nei primi dell’Ottocento

IL VIAGGIO DELLA PRINCIPESSA DI TRICASE


Otto giorni impiegò, nel settembre del 1817, la principessa di Tricase, Maria Emanuela Pignatelli, vedova del principe Giuseppe Gerardo Gallone, per rientrare a fine estate da Tricase a Napoli, dove risiedeva. L’analisi della nota pubblicata da D. Lala nel suo L’Archivio dei Principi Gallone, Tricase 2001, p. 277, oltre alla durata del viaggio, dà modo di scoprire altre interessanti notizie sul modo di viaggiare del ceto nobiliare ai primi dell’Ottocento. Le carte della famiglia feudataria di Tricase, furono donate all’Archivio di Stato di Genova nel 1965 da donna Simonetta della Posta (1916-1986), dei duchi di Civitella Alfedena, figlia unigenita della principessa Maria Bianca Gallone, ultima discendente diretta della casata. Nel 1979 il fondo archivistico fu trasferito all’Archivio di Stato di Lecce, ma altre importanti carte si trovano ad Angers, in Francia, dove è nato e risiede Simon Guerri dall’Oro di Tricase e di Moliterno, nato nel 1985. A suo padre Guido (1941-2019), con decreto ministeriale del 21.1.1999, venne riconosciuta l’aggiunta del predicato nel cognome, da trasmettere anche ai discendenti.


La protagonista del viaggio Tricase-Napoli, la principessa Maria Emanuela Pignatelli, nasce il 21 aprile 1775 da Giovanni Battista, principe di Moliterno e di Marsiconovo ( n Basilicata), ambasciatore di Napoli presso la corte di Francia, e da Luisa d’Avalos, dei principi d’Aquino d’Aragona. Nel 1796 sposa il principe di Tricase, Giuseppe Gerardo Gallone (1766-1806) e dal loro matrimonio nascono 5 figli: 4 femmine (Beatrice, Maria Luisa, Brigida e Michela) e l’unico maschio, Giovanni Battista (1800-1868), erede della casata.


M. Emanuela Pignatelli rimane vedova nel 1806 e muore, all’età di 48 anni, il 23 marzo 1818, nella villa napoletana di S. Maria degli Angeli. Viene sepolta a Napoli, nella cappella dell’Immacolata, di juspatronato della famiglia Gallone, nella basilica di S. Pietro ad Aram, dov’era sepolto il marito e le figlie e dove si trovava una sua epigrafe marmorea poi rimossa e rimasta mutila (cfr. E. Morciano, “Vestigia napoletane dei principi di Tricase” in Ne quid nimis. Studi in memoria di Giovanni Cosi, a cura di M. Spedicato e L. Montonato, Edizioni Grifo, Lecce 2017, pp. 201-225)


Appartenente ad una delle famiglie più potenti e prestigiose del Regno di Napoli, Maria Emanuela è sorella di Girolamo Pignatelli (1773-1848), un personaggio politicamente controverso. Capitano del popolo durante la rivoluzione napoletana del 1799, fu mandato a Parigi per chiedere il riconoscimento del nuovo governo, ma i francesi dubitarono delle sue scelte democratiche e lo confinarono. Tornato in Italia nel 1806, si schierò di nuovo con i Borboni e li seguì a Palermo, dove erano fuggiti all’arrivo a Napoli dei francesi. Tracollato economicamente, passò il titolo di principe di Moliterno di Marsiconovo alla sorella Emanuela, principessa di Tricase, che lo trasmise ai discendenti. Costei ebbe una vita travagliata, seppure agiata perché la famiglia Gallone era ancora fra quelle più cospicue del Regno. Le figlie le muoiono piccolissime o in giovane età; assiste alla rivoluzione del 1799 in cui vengono uccisi dalla folla inferocita parecchi nobili; vede la famiglia reale costretta a fuggire in Sicilia per ben due volte; coi Napoleonidi subisce, tra il 1806 e il 1808, le leggi eversive della feudalità. Non manca tuttavia qualche nota positiva: l’acquisto a suo nome del casale di Teverolaccio, comune di Succivo, in provincia di Caserta. Rimane vedova a circa 31 anni nel 1806 – il marito ne aveva quaranta – e nello stesso anno le muore l’ultimogenita, Brigida, a circa un anno di età. Forse tutte queste preoccupazioni ne abbreviano la vita perché muore a 42 anni nel 1818. Di lei a Tricase rimane un ricordo nella chiesa matrice, nei due altari del transetto, già di patronato della famiglia Gallone e dedicati alla Vergine di Costantinopoli e a s. Carlo Borromeo. Su tali altari si nota lo stemma bipartito Gallone-Pignatelli realizzato con intarsio di marmi pregiati policromi.


Quando la principessa Emanuela Pignatelli-Gallone rientra da Tricase a Napoli ha 42 anni. Verosimilmente è l’ultimo viaggio del genere che ella compie, perché muore dopo circa sei mesi nella sua villa di S. Maria degli Angeli, nel centro della città. Insieme alla principessa, in carrozza, vi sono il diciassettenne principino Giovanni Battista (1800-1868) e Domenico Risolo, “agente” della Casa; fanno parte del personale una serva, non altrimenti denominata, lo stalliere Vincenzo Longo, con altri servi preposto alla cura delle cavalcature della Casa e di quelle da soma da restituire a Tommaso Grande di Lecce.


Si possono tuttavia sottolineare altre particolarità. Le soste del percorso con pernottamento: Fasano, Bari, Barletta, Cerignola, Bovino, in Puglia; Ariano Irpino, Mirabella, Avellino in Campania. Il vitto era preparato dal cuoco personale della principessa. Tra le spese extra, oltre il gelato al principino, e l’acquisto della “tintura d’ambra”, troviamo le “cassette di S. Nicola”. Furono acquistate da Ignazio durante la sosta a Bari. Verosimilmente sono le boccette contenenti la “manna di s. Nicola”: l’acqua che secondo la tradizione scaturisce dalle ossa del santo. Mescolata con l’acqua naturale e tradizionalmente raccolta in bocce a scopo devozionale, può anche essere adoperata a fini curativi. La presenza del cuoco personale, l’acquisto di tintura d’ambra e della manna, farebbe pensare ad una principessa ipocondriaca, delicata, dal temperamento apprensivo e dalla salute cagionevole. Per una patologia del genere, la medicina del tempo prescriveva una dieta particolare e l’uso di derivati d’ambra come bevanda antidepressiva e ricostituente o «da portare sempre seco per odorarlo [come profumo] ed ungere le tempie»: N. Cirillo, I Consulti Medici, Tomo I, Napoli 1738, p. 325. Da notare ancora l‘uso di dare le mance, la cosiddetta “buona mano”, per avere trattamenti privilegiati, l’elargizione al “portinaro” di Barletta che di notte “aprì le porte della città” e ai gendarmi, “dove c’è stato bisogno”. Sono tutti elementi caratterizzanti i viaggi in un’epoca in cui spostarsi era pericoloso per la presenza dei briganti e non era comodo a causa della disastrosa situazione delle strade, la cui manutenzione spettava ai poveri comuni dai bilanci dissanguati. Il costo totale del viaggio, compreso il ritorno dei muli fino a Lecce, è di ducati 268,60.



Pubblicato su “Il gallo”, n. 19/2021, p.22.

Ercole Morciano